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La societÀ romana arcaica




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la società romana arcaica


i fondamenti dell'ordinamento sociale

La storia più arcaica dello Stato romano del periodo monarchico e degli inizi della repubblica ci è nota a grandi linee; ciò vale anche per l'ordinamento sociale romano. Gli inizi della storiografia romana risalgono al III secolo a.C., e la storiografia di questo periodo, legata al nome di Quinto Fabio Pittore, era in grado di narrare solo ciò che era conservato in una tradizione orale molto fortemente colorita dalla leggenda. Questa tradizione era molto povera e inadeguata agli scopi propagandistici dell'annalistica romana del periodo delle guerre contro Cartagine: Fabio Pittore si vide costretto ad integrarla con la propria fantasia ed a rappresentare in maniera arbitraria gli inizi di Roma. Questa versione della storia delle origini la conosciamo da una sua più tarda utilizzazione, in Livio ed in Dionigi di Alicarnasso, che la rielaborarono dal punto di vista tipico del periodo augusteo.

Dal momento che mancano fonti epigrafiche, è la documentazione archeologica che permette il controllo della tradizione letteraria, consentendo il chiarimento della storia fondamentale dell'insediamento e la costituzione di una cornice cronologica sicura per lo sviluppo interno della società romana arcaica e del suo Stato. Se queste fonti possono essere ulteriormente integrate, ciò avviene grazie alle nostre conoscenze relative alle istituzioni sociali, politiche e religiose della Roma più tarda, che conservano sopravvivenze della struttura sociale arcaica.

La narrazione della fondazione di Roma ad opera di Romolo è destituita di fondamento storico, così come la data di fondazione, calcolata da Varrone, alla fine della repubblica, data che, secondo la nostra cronologia, corrisponderebbe al 753 a.C. Gli inizi di quell'insediamento sul Palatino, che può essere considerato il nucleo originario dello sviluppo della Roma storica, risalgono a questo periodo, ma forse addirittura al X secolo a.C. Gli abitanti di questo insediamento erano Latini ed appartenevano al gruppo etnico latino-falisco di quei migratori indoeuropei che si erano stanziati in Italia, a partire dal XII secolo a.C., e che vivevano di allevamento e agricoltura. Sul Quirinale si stabilirono i Sabini, che appartenevano al gruppo etnico osco-umbro e le cui genti furono assimilate gradualmente dalla comunità parlante latino.

L'urbanizzazione di Roma, un processo grazie al quale questa comunità si sviluppò in una città-stato, ebbe luogo all'inizio del VI secolo a.C. La città fu ampliata con l'inclusione di zone d'insediamento e fu separata dal territorio circostante da un confine stabilito (pomerium); essa ricevette istituzioni stabili, tra cui i magistrati; fu introdotta una forma stabile di governo, la monarchia, nella forma di una monarchia elettiva.

Questo processo fu inseparabile dall'estensione della dominazione etrusca su Roma. La comunità cittadina di Roma fu plasmata sotto la dominazione etrusca e secondo il modello etrusco; il suo nome deriva da una famiglia etrusca. Le istituzioni e la forma di governo furono organizzate secondo un modello etrusco ed il potere fu esercitato da re etruschi; Roma prese dagli Etruschi non solo moltissime tradizioni religiose e culturali, ma anche gran parte della loro struttura sociale.

Oltre all'eredità indoeuropea ed al ruolo svolto dagli Etruschi, ci fu un terzo fattore nella storia arcaica dell'Italia, che segnò la via allo sviluppo romano, cioè l'influenza dei Greci, i quali, dalla metà dell'VIII secolo a.C., si stabilirono nell'Italia meridionale ed in Sicilia. Tuttavia, si dovette agli Etruschi se Roma poté diventare una città-stato.

La storia degli Etruschi è tangibile a partire dal VII secolo a.C., quando, grazie all'estrazione mineraria ed all'attività e al commercio ad essa legati, cominciò lo sviluppo delle loro città ed il consolidamento delle loro caratteristiche politiche e culturali. Essi non formarono mai uno Stato unitario: la forma della loro vita politica comune fu una confederazione di 12 città, che erano governate di volta in volta da un re. La loro società si articolava in due grandi gruppi: l'aristocrazia ed uno strato sociale inferiore non libero. I nobili possedevano le proprietà terriere e le miniere; dominavano la vita politica, poiché formavano il consiglio degli anziani delle città e ricoprivano le magistrature. Gli strati sociali inferiori erano costituiti dai gruppi dipendenti dall'aristocrazia: erano contadini che dovevano essere lavoratori agricoli legati alla terra e soggetti al servizio militare. Questo modello sociale fu ripreso a Roma, dove il sistema sociale arcaico corrispondeva al modello etrusco, con l'aristocrazia patrizia onnipotente da una parte e clienti e schiavi dall'altra.

La potenza degli Etruschi raggiunse il culmine nel VI secolo a.C. A nord-est, si spinsero fino nella valle del Po, dove fondarono nuove città; a sud, dopo il Lazio, occuparono anche la Campania e, nel 535 a.C., la loro flotta, alleata con Cartagine, sconfisse i Focei, i più attivi colonizzatori greci. Il loro dominio su Roma rimase saldo fino alla fine del VI secolo a.C.; sembra che Roma abbia fatto parte, in fasi successive, della sfera di potere di diverse città etrusche. I sovrani di Roma furono etruschi, come Tarquinio il Superbo, l'ultimo dei sette re di Roma, ed anche Porsenna, il re di Chiusi, che, poco dopo la cacciata dell'ultimo Tarquinio, occupò temporaneamente Roma. Questi ultimi avvenimenti segnarono la fine del dominio etrusco a Roma. Roma fu liberata dal dominio dei re etruschi con una sollevazione antimonarchica dell'aristocrazia, che sembra aver avuto luogo intorno al 508 a.C. I tentativi di ristabilire il potere etrusco a Roma naufragarono e, dopo che nel 474 a.C. persero la loro supremazia navale nella battaglia di Cuma, contro Ierone di Siracusa, gli Etruschi persero anche la loro influenza sul Lazio.

L'ordinamento sociale fu mantenuto anche dopo la soppressione della monarchia. Le lotte sociali tra gli ordini, del V secolo a.C., prepararono ed avviarono la dissoluzione della struttura sociale arcaica, ma non la portarono a termine, e molte sue caratteristiche sopravvissero non solo a questi secoli, ma anche alla repubblica. La struttura della società era contrassegnata da un'articolazione orizzontale, che derivava dal ruolo centrale della famiglia nella struttura sociale e che dava origine, in base alla consanguineità, alla riunione delle singole famiglie in un sistema di genti, curie e tribù.

L'articolazione verticale della società era semplice, poiché prevedeva soltanto l'aristocrazia e la popolazione da essa dipendente; i legami tra singole persone, famiglie subalterne e nobili, in virtù di rapporti basati sull'appartenenza gentilizia o sulla vicinanza, erano di grande importanza. Anche il campo delle tensioni sociali del sistema arcaico fu semplice: i conflitti nacquero solo perché i dipendenti, che poterono liberarsi dal rapporto di dipendenza, dichiararono guerra all'aristocrazia, tendendo all'uguaglianza politica ed al miglioramento della loro condizione economica.


la struttura della società

La famiglia romana arcaica era un'entità economica, sociale e religiosa. Il capo famiglia (pater familias), in virtù della sua autorità (auctoritas), godeva di un potere illimitato sulla moglie, i figli, gli schiavi e sul patrimonio famigliare (res familiaris). Erano di sua competenza l'amministrazione della proprietà famigliare (bonorum administratio) e la conduzione dell'attività economica della famiglia. Decideva su questioni giuridiche come l'ammissione di nuovi membri nell'organizzazione famigliare o l'uscita da questa di suoi componenti, come sulla punizione da infliggere per reati commessi; rappresentava la famiglia nei confronti dell'esterno. Inoltre, amministrava il culto degli antenati (sacra familiae).

In virtù della comune origine e in virtù di un insediamento prossimo, le famiglie imparentate furono riunite nella gente (gens), che, quale unione sacra, amministrava il culto gentilizio (sacra gentilicia) ed i cui componenti portavano, accanto al nome proprio, il comune nome gentilizio (nomen gentile). Originariamente, la formazione di queste genti fu un privilegio dell'aristocrazia patrizia, e le gentes plebee furono istituite solo ad imitazione delle genti patrizie.

Le genti furono riunite nelle curiae. Un curio stava a capo di ogni curia (a capo di tutti i curiones stava un curio maximus). Queste associazioni gentilizie avevano una grande importanza nella vita pubblica. Oltre ad avere funzioni sacre, esse costituirono la forma di organizzazione dell'assemblea popolare e dell'organizzazione militare. L'assemblea popolare (comitia curiata), organizzata per curie, deliberava su questioni di diritto famigliare, su questioni pubbliche riguardanti il popolo ed aveva il diritto di confermare nella loro autorità i funzionari più alti della comunità (lex curiata de imperio). In tempo di guerra, gli abili alle armi andavano in campo ordinati per curie; ogni curia doveva fornire dieci cavalieri (una decuria) e cento fanti (una centuria). Il numero di circa 300 cavalieri e 3.000 fanti rappresentava l'unità combattente originaria della legione.

Nel periodo monarchico, le curie erano riunite nelle tre tribù gentilizie. Ogni tribù comprendeva dieci curie. I nomi di queste tre tribù, Tities, Ramnes, Luceres, sono etruschi e mostrano l'importanza dell'influenza etrusca nella formazione del sistema sociale arcaico romano. Nel V secolo a.C., l'antica forma di divisione tribale fu relegata in secondo piano, affermandosi un'articolazione della comunità in tribù organizzate su base regionale. Nella struttura sociale arcaica, tuttavia, le tre tribù rappresentavano la totalità del popolo romano (populus Romanus o Quirites).

Lo strato superiore della società romana era costituito dai patrizi, nobili di nascita e proprietari terrieri. L'origine del patriziato non si può spiegare se non con la formazione di un'aristocrazia equestre sotto i re etruschi di Roma, grazie alla superiorità della cavalleria. Il "dominio della cavalleria" corrisponde alle condizioni di un ordinamento sociale arcaico.

L'aristocrazia patrizia era un ordine chiuso basato tanto sulla nascita quanto sulle sue funzioni e sui suoi privilegi nella vita economica, sociale, politica e religiosa. La sua identità si espresse nei simboli dell'ordine:

l'anello d'oro (anulus aureus);

la striscia di porpora (clavus) sulla tunica;

il mantello equestre corto (trabea);

il calzare alto a stivaletto con strisce di cuoio (calceus patricius);

le piastre rotonde di metallo prezioso (phalerae), derivanti dall'originario equipaggiamento equestre.

I patrizi dovevano la propria supremazia alla loro proprietà fondiaria ed ai loro grandi greggi. In guerra, i patrizi detennero il comando militare e andavano in campo alla testa delle loro schiere di clienti.

Essi dominavano totalmente anche la vita politica. Sotto la loro influenza era l'assemblea popolare, nella sua forma antica basata sull'ordinamento curiale. Nel consiglio degli anziani, che rappresentò l'organismo spremo dello Stato romano, i membri patrizi (patres) decretavano ciò da cui dipendeva la validità delle decisioni dell'assemblea popolare. I senatori plebei (conscripti) non avevano diritto di voto nella prima età repubblicana. Solo i patrizi accedevano alle magistrature della comunità, che comprendevano i funzionari superiori annuali (che furono stabiliti in numero di due, e che prima si chiamarono praetores, più tardi consules), il dictator (originariamente magister populi), che in situazioni d'emergenza militare veniva investito di poteri illimitati per 6 mesi, ed anche i sacerdoti. In situazioni eccezionali, in cui non c'era alcun funzionario, essi nominavano, all'interno dei propri ranghi, un magistrato speciale (interrex). Il gruppo di vertice dei rappresentanti delle genti più prestigiose (patres maiorum gentium) aveva un'influenza particolarmente grande; il presidente del senato (princeps senatus) veniva scelto da questa cerchia.

L'altro ordine della società arcaica romana era la plebs, il popolo ordinario composto da persone libere, che costituivano una parte della popolazione globale dello Stato (populus). I plebei godevano della cittadinanza, ma non avevano i loro privilegi. Gli inizi della plebe risalgono al periodo monarchico, però essa assunse una stabile definizione solo dopo l'inizio della sua lotta organizzata contro l'aristocrazia patrizia, poco dopo il 500 a.C., dopo che si era riunita in una comunità separata con istituzioni proprie. La plebe non era un'istituzione etrusca, bensì romana.

In una parte della tradizione antica più tarda, la plebe romana del periodo arcaico ha i connotati di uno strato sociale contadino. Nella formazione della plebe come ordine chiuso ebbe una parte importante anche uno strato inferiore urbano, costituito da artigiani e commercianti. Nella Roma arcaica, i mestieri ed il commercio erano considerati infimi, coerentemente all'ordinamento sociale aristocratico basato sull'agricoltura. Romolo vietò l'esercizio delle attività artigianali ai Romani, che dovevano sentirsi vocati al servizio militare ed all'agricoltura, e l'idea che la figura moralmente superiore nella società fosse l'agricoltore si conservò fino al periodo imperiale romano. Secondo Livio e Plinio, furono gli immigrati stranieri ad esercitare i mestieri artigianali nella Roma arcaica e ad insegnare ai Romani la loro abilità di artigiani. Il comportamento della plebe contro l'aristocrazia patrizia, a partire dall'inizio della repubblica, è spiegabile con il fatto che un nucleo di plebei viveva in parte libero dalle costrizioni economiche, sociali, politiche e morali, che legavano i membri ordinari di una gente al loro vertice patrizio e che riguardavano in prima istanza le masse della popolazione contadina.

Sarebbe sbagliato identificare la plebe con i clienti dell'aristocrazia patrizia. I clienti rappresentavano uno strato sociale inferiore prevalentemente contadino. I confini tra questi due gruppi sociali non erano netti, tanto che i clienti potevano liberarsi dal legame con un nobile ed inserirsi nella plebe; era possibile che membri della plebe potessero trovare un posto stabile nella società romana grazie al legame personale con una famiglia patrizia. Se i plebei arrivarono ad aggregarsi in un ordine sociale chiuso, i clienti non vi riuscirono, cosa che dipese dalla loro stretta dipendenza dall'aristocrazia.

Il cliens contraeva un rapporto di fedeltà (fides) con il nobile, e ciò lo obbligava a servizi di natura economica e morale (operae ed obsequium). Il nobile, in quanto suo patronus, si assumeva una responsabilità "paterna", offrendo al suo cliente protezione personale e mettendogli a disposizione un pezzo di terra. Un rapporto simile si stabiliva anche tra il padrone ed il suo schiavo liberato (libertus) che, dopo la liberazione (manumissio), restava legato al suo patronus in veste di contadino, di artigiano o di commerciante.

Nell'ordinamento sociale patriarcale del periodo arcaico, la schiavitù poté svilupparsi nella misura in cui le fu accordata una funzione nella famiglia, istituzione base della vita sociale ed economica. Da una parte, lo schiavo era considerato proprietà del suo padrone senza diritti personali; era un oggetto d'acquisto e di vendita e veniva designato non solo con il termine di servus, ma anche con quello di mancipium; era considerato meno di un uomo libero. D'altra parte, la posizione dello schiavo all'interno della famiglia non era differente da quella dei membri ordinari della famiglia stessa: egli era totalmente integrato nell'organizzazione famigliare; anche la sua funzione economica non era differente da quella dei membri liberi della famiglia.

Il significato dell'istituzione della schiavitù stava nell'incremento della forza-lavoro della famiglia nell'attività domestica e dell'economia agraria, dopo l'espansione romana, a partire dalla fine del V secolo a.C., che portarono alla formazione di proprietà più estese. Il bisogno di schiavi esisteva e si poteva approfittare di diverse possibilità per soddisfarlo. Fino al IV secolo a.C., ebbero un ruolo notevole due forme di asservimento di cittadini liberi facenti parte del populus Romanus:

la prima era la possibilità di comprare come schiavi da un capo famiglia ridotto in miseria i suoi figli; dalle Leggi delle XII Tavole, risulta che il padre poteva anche ricomprare il figlio;

l'altra forma di asservimento di cittadini liberi era la schiavitù per debiti: la regolamentazione in proposito costringeva il debitore a rendersi garante del debito con la propria persona (nexum); egli doveva mettersi a disposizione del creditore quale mancipium a garanzia di solvibilità.

A queste fonti di approvvigionamento di schiavi si aggiunsero l'asservimento dei prigionieri di guerra e la riproduzione degli schiavi: lo schiavo nato nella famiglia (verna) diventava proprietà del pater familias.

Le antiche narrazioni sui primi moti servili seguono lo stesso schema: in una situazione difficile per la comunità romana, schiavi e gruppi di liberi congiurano con il proposito di occupare i colli della città, di liberare gli schiavi, di uccidere i padroni e di impossessarsi dei loro beni e delle loro mogli; il complotto, tuttavia, viene scoperto e sventato. È possibile che degli schiavi abbiano partecipato occasionalmente ai disordini provocati da gruppi marginali della società romana. Tuttavia, è sintomatico che essi non prendano parte come gruppo sociale unitario, ed in coalizione con la plebe, al conflitto sociale della repubblica arcaica, la lotta dei plebei contro i patrizi.


la lotta tra gli ordini nella roma arcaica

All'interno dell'ordinamento sociale arcaico romano, il contrasto decisivo non fu il conflitto tra liberi e schiavi, bensì quello tra i gruppi della cittadinanza libera: da una parte stavano gli appartenenti all'aristocrazia di nascita privilegiata e proprietaria fondiaria, dall'altra parte i cittadini ordinari, i cui diritti politici erano limitati e molti dei quali si trovavano in difficoltà economiche. Questa contrapposizione si risolse nella lotta tra gli ordini, tra i patres e la plebs. La prima fase di questa lotta, che ebbe luogo nel V secolo a.C. e nel primo terzo del IV secolo a.C., fu caratterizzata dalla formazione di schieramenti distinti, dal momento che i plebei si delinearono come un ordine specifico in cosciente opposizione al patriziato ed imposero l'istituzione di uno Stato diviso in due ordini. Nella seconda fase, tra gli anni '60 del IV secolo a.C. e l'inizio del III secolo a.C., si realizzò, tra il gruppo dirigente dei plebei ed i patrizi, un accordo che portò alla nascita di una nuova élite. L'ordinamento sociale arcaico di Roma si dissolse in questa fase, che coincise con l'espansione del dominio romano nella penisola italica.

Le cause del conflitto tra patrizi e plebei affondavano le proprie radici nello sviluppo economico, sociale e militare della Roma arcaica; queste cause risalivano al VI secolo a.C. Decisivi furono lo sfruttamento economico e la repressione politica delle masse popolari da parte dell'aristocrazia patrizia. A partire dal VI secolo a.C., si attuò una differenziazione all'interno della popolazione, che ebbe come conseguenza l'inasprimento delle tensioni tra patrizi e cittadini ordinari, portando il popolo a dichiarare guerra all'aristocrazia. Artigiani e commercianti poterono approfittare dello sviluppo economico della città durante l'attività edilizia dei re e costituirsi un patrimonio, consistente nell'equipaggiamento bellico ed in oggetti di uso comune. Altri gruppi caddero in una condizione economica e sociale catastrofica. Gli obiettivi du questi due gruppi plebei furono molto differenti:

i plebei benestanti aspiravano alla partecipazione politica, cioè all'ammissione alle magistrature, alla parità di diritti con i patrizi in senato ed all'integrazione sociale, con l'autorizzazione di matrimoni tra nobili e non nobili.

ai componenti poveri della plebs interessava il miglioramento della condizione economica e della posizione sociale, per mezzo della soluzione del problema dei debiti e di un'adeguata partecipazione ai poderi ricavati alla terra di proprietà statale (ager publicus).

Per tutti e due i gruppi, l'avversario era l'aristocrazia patrizia, e la loro possibilità di successo stava nel coalizzarsi contro quest'ultima, nel fondare istituzioni comuni per organizzare la lotta e nell'ottenere delle riforme.

I plebei poterono sfruttare questa possibilità solo dopo la caduta della monarchia, quando la mutata posizione in politica estera della comunità ed i cambiamenti nella tattica bellica romana offrirono presupposti per l'inizio della lotta politica contro il dominio dell'aristocrazia. Dopo che Roma, con la cacciata dell'ultimo re, ebbe perso la protezione di potenti città etrusche, fu esposta alla minaccia nemica proveniente, da una parte, dai vicini centri di potere etruschi e, dall'altra, dalle tribù montane centro-italiche. La tattica della secessione politica e militare (secessio), che il popolo riuscì ad utilizzare come mezzo di pressione, nel V secolo a.C., costrinse l'aristocrazia a cedere sul fronte interno, in considerazione della minaccia portata allo Stato dall'esterno.

Alla fanteria plebea spettò una maggiore importanza tattica a partire dalla fine del VI e dall'inizio del V secolo a.C.: la condotta bellica arcaica dell'aristocrazia equestre non si rivelò adeguata nelle campagne militari contro Veio e contro le tribù montane. La formazione della costituzione oplitica fece sì che, con la forza militare del popolo, aumentasse anche l'autocoscienza di questo e che crescesse la sua attività politica. Il ruolo decisivo nella nuova tattica bellica spettò alle formazioni di fanteria con equipaggiamento pesante; poiché queste formazioni d'élite erano composte da plebei ricchi, le ambizioni politiche furono marcate in questo gruppo della plebe.

Il primo grande successo dei plebei fu la creazione di istituzioni proprie: ciò significò la nascita di un'organizzazione per l'autodifesa, per la lotta politica e per l'unione in quanto ordine specifico contro l'aristocrazia. Questo evento si ebbe nel 494 a.C., quando la prima secessione del popolo fu coronata da successo e fu introdotta l'istituzione del tribunato della plebe.

Nel 493 a.C., fu eretto sull'Aventino il tempio della dea Cerere, il cui culto era riservato ai plebei; questa fondazione rappresentò la riunione della plebe in una comunità sacrale. Il popolo poteva legittimare la propria unione soltanto con il ricorso alla protezione divina; questo atto era una cosciente imitazione della fondazione del tempio di Giove sul Campidoglio, avvenuta nel 507 a.C., per esprimere l'autonomia della comunità separata plebea.

Questa comunità non limitò la propria attività all'amministrazione di un culto religioso, bensì avanzò le pretesa di essere uno "Stato nello Stato". I plebei tenevano assemblee proprie (concilia plebis), in cui prendevano decisioni proprie (plebiscita). Eleggevano i loro capi, gli aediles ed i tribuni plebis; con un giuramento sacro (lex sacrata), decretarono l'inviolabilità (sacrosanctitas) dei tribuni della plebe, rivendicarono il loro aiuto (ius auxilii) contro l'arbitrio dei magistrati patrizi ed imposero che i tribuni della plebe potessero intervenire nei procedimenti delle autorità patrizie contro un plebeo (ius intercedendi), ed ottennero un diritto di veto contro magistrati e senato. Queste istituzioni si dimostrarono politicamente efficaci grazie all'appoggio delle masse popolari.

Il secondo successo i plebei l'ottennero con la divisione di tutta la popolazione secondo un principio più favorevole e con il nuovo ordinamento dell'assemblea popolare adeguato ai loro interessi. Il provvedimento di riforma, nella riorganizzazione della divisione in tribù, avvenne contemporaneamente all'introduzione del tribunato della plebe. Le tre antiche associazioni gentilizie non furono abolite, ma sostituite con tribù organizzate su base regionale. Quattro di queste, la Suburana, la Palatina, l'Esquilina e la Collina, in quanto tribus urbanae, corrispondevano alle quattro zone della città; a queste si aggiunsero, nel V secolo a.C., le 16 tribus rusticae, ed il numero aumentò a partire dalla fine del V secolo, fino a raggiungere la cifra complessiva di .

Poiché la divisione in tribù serviva come base per l'assemblea popolare, la sua importanza politica era notevole. Nell'assemblea popolare, organizzata sulla base di tribù costituite regionalmente (comitia tributa), i patrizi non poterono più presentarsi al vertice di una gente chiusa sotto il loro controllo e dominare l'assemblea impiegando i loro clienti. Il nuovo assetto offrì possibilità per l'agitazione plebea, che non poteva più essere ridotta al silenzio.

Un terzo successo i plebei poterono registrarlo alla metà del V secolo a.C., la codificazione del diritto nelle Leggi delle XII Tavole (leges duodecim tabularum). Non si trattò di una legislazione filoplebea, ma soltanto di una fissazione scritta del diritto vigente. Le caratteristiche arcaiche delle leggi erano evidenti. Tuttavia, il fatto che il diritto vigente fosse fissato per iscritto, costituì una riforma politica di grande importanza: il cittadino comune poté difendersi contro l'ingiustizia e le violenze da parte dei potenti. Le Leggi delle XII Tavole non consideravano più come gruppi sociali soltanto l'aristocrazia ed il popolo ordinario: prendevano in considerazione la ricchezza come criterio della stratificazione sociale, con la distinzione tra i possidenti (assidui) ed i nullatenenti (proletarii).

L'attenzione alle condizioni patrimoniali favorì i plebei ricchi, che non potevano più essere considerati come parte della massa. Quanto fosse importante un riordinamento della struttura sociale romana basato sulla ricchezza, fu dimostrato dal quarto successo della plebe: essa poté imporre una nuova articolazione del corpo cittadino in classi di proprietà. Nella tradizione romana, questa costituzione timocratica fu attribuita al re Servio Tullio, figura tipica del riformatore democratico. Questa costituzione, tuttavia, fu attuata solo dopo il 450 a.C.; l'istituzione della carica del censor, per la definizione della qualificazione patrimoniale dei cittadini, nel 443 a.C., deve aver segnato il suo inizio.

Le condizioni patrimoniali furono calcolate secondo l'equipaggiamento militare che i cittadini potevano permettersi in guerra. Questa costituzione, dunque, nacque del nuovo ordinamento dell'organizzazione militare, dopo l'introduzione della tattica oplitica. Sopra le classi (supra classem) c'erano gli equites, i componenti dell'aristocrazia equestre patrizia, divisi in 18 centurie. La prima classe comprendeva le 80 centurie della fanteria pesante, che rappresentava la spina dorsale di tutto lo schieramento militare romano; in questa classe predominavano i plebei ricchi. Alla seconda, terza e quarta classe appartenevano, con 20 centurie ciascuna, gli alti possidenti con qualificazione patrimoniale decrescente. Nella quinta classe, composta di 30 centurie, erano riuniti i poveri. Oltre a queste unità c'erano due centurie di fabri, che manovravano le macchine da guerra ed erano assegnati alla prima classe, e le due centurie di musici, associati alla quinta classe. I proletari erano raggruppati in una centuria, situata al di sotto dell'ordinamento delle classi (infra classem).

Anche questo nuovo ordinamento fu la base organizzativa dell'assemblea popolare. Nell'assemblea popolare, organizzata per classi e centurie (comitia centuriata), ogni centuria aveva un voto. La votazione per centurie, dunque, significava che gli appartenenti alle centurie equestri ed alla prima classe, con i loro 98 voti, potevano battere le restanti 95 centurie. Questo sistema garantiva ai proprietari la supremazia sulla massa del popolo.

Furono rafforzate le differenze sociali tra l'aristocrazia ed il popolo ordinario; fu portata a termine anche la divisione dei fronti tra patrizi e plebei, divisione che era cominciata con l'unione del popolo in una comunità separata. Fino al primo terzo del IV secolo a.C., questa divisione tra gli ordini fu alla base della società romana. Tuttavia, la costituzione serviana scosse l'ordinamento sociale arcaico ed aprì la strada alla formazione di un nuovo modello sociale. Benché i nobili avessero rappresentato il vertice della società, per il mantenimento di questa posizione non era più determinante la loro origine eminente, bensì la loro posizione economica. Ai plebei ricchi fu assicurata una posizione sociale di rilievo. Questo gruppo d'élite della plebe fu riconosciuto come potenziale partner dell'aristocrazia, poiché i patrizi non potevano più dominare l'assemblea popolare da soli, ma solo alleandosi con la prima classis del popolo. Questa alleanza si espresse nell'abolizione ufficiale del divieto matrimoniale tra appartenenti all'aristocrazia ed al popolo. Questa riforma fu attuata nel 445 a.C., con la lex Canuleia. Essa andava nella stessa direzione della costituzione timocratica, cioè dell'avvicinamento e dell'accordo tra i patrizi e l'élite plebea.

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