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Le stelle




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Sistema solare Sistema di corpi celesti di cui fanno parte il Sole, i nove
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Le stelle

Le stelle sono corpi celesti di grandi dimensioni, composti di gas caldo, che emette radiazione elettromagnetica per effetto delle reazioni nucleari che avvengono al suo interno. La stella più vicina al nostro pianeta è il Sole. Con la sola eccezione di quest'ultimo, le stelle sembrano fisse sulla sfera celeste; in realtà esse si muovono molto velocemente, ma le loro distanze sono così grandi che, se non si ricorre a potenti strumenti d'osservazione, i cambiamenti di posizione possono essere rilevati solo dopo tempi dell'ordine dei secoli.

Dalla Terra sono teoricamente visibili a occhio nudo circa 7000 stelle, equamente divise nei due emisferi celesti. Tuttavia, a causa dell'assorbimento atmosferico e della debole luce del fondo cielo, se ne riescono a vedere circa 2000. Gli astronomi hanno calcolato che la Via Lattea contiene circa cento miliardi di stelle, sebbene nel cielo notturno siano visibili solo quelle che giacciono nei pressi del sistema solare.

La stella più vicina a noi è Proxima Centauri, una componente del sistema triplo di Alpha Centauri, situata a circa 40.000 miliardi di km dalla Terra, cioè a una distanza di 4,29 anni luce.

Descrizione fisica

Il Sole è una stella tipica, con una superficie visibile detta fotosfera, uno strato superiore composto di gas caldo e, al di sopra di questo, una corona diffusa. La fotosfera presenta aree più fredde, dette macchie solari, che secondo i risultati di recenti tecniche di interferometria sono simili a quelle che si trovano su altre stelle. La struttura interna non può essere osservata direttamente, ma gli studi indicano la presenza di intense correnti convettive e di condizioni estreme di pressione e temperatura soprattutto in prossimità del centro, dove si sviluppano violente reazioni termonucleari. Le stelle sono composte principalmente da idrogeno ed elio e contengono tracce variabili di altri elementi chimici.

Le stelle più grandi che si conoscono, le cosiddette supergiganti, hanno diametri che superano di 400 volte quello solare, mentre le dimensioni delle più piccole, note come nane bianche, sono circa cento volte minori di quelle del Sole. Le stelle giganti sono relativamente poco dense e hanno massa uguale a circa 40 masse solari, mentre le nane bianche sono estremamente dense e, malgrado le loro ridotte dimensioni, possono avere masse pari a un decimo di quella del Sole. Gli oggetti più piccoli non riescono a sostenere le reazioni nucleari e non possono pertanto essere considerati stelle. A partire dal 1987 sono stati osservati corpi celesti con massa uguale a un decimo della massa solare, detti nane brune.

Cataloghi stellari

A eccezione delle poche stelle visibili a occhio nudo, che hanno nomi propri, tutti gli astri sono identificati con numeri che si riferiscono ad atlanti e cataloghi stellari pubblicati dagli osservatori astronomici. Il primo di tali cataloghi, l'Almagesto, venne compilato dall'astronomo Tolomeo e contiene il nome e la posizione di 1028 stelle. Nel 1603 l'astronomo tedesco Johann Bayer pubblicò a Augsburg un atlante stellare in cui venivano classificate moltissime stelle, identificate all'interno di ciascuna costellazione con le lettere dell'alfabeto greco.

Nel XVIII secolo l'astronomo britannico John Flamsteed pubblicò una raccolta di carte del cielo nel quale era specificata la posizione di circa 3000 stelle, classificate secondo le costellazioni di appartenenza e individuate da un numero. Il primo catalogo stellare moderno, pubblicato nel 1862 dall'osservatorio di Bonn, in Germania, conteneva le posizioni di oltre 300.000 astri.

Nel 1887 un comitato internazionale iniziò la stesura di un elaborato catalogo stellare che venne compilato sulla base di fotografie scattate da circa 20 osservatori sparsi in tutto il mondo; in totale furono raccolte circa 21.600 immagini che mostravano 8-10 milioni di stelle.

I cataloghi stellari moderni non sono libri ma consistono di copie di lastre fotografiche riprese con telescopi a grande campo. La prima di queste importanti rassegne stellari venne completata alla metà degli anni Cinquanta, utilizzando il telescopio Schmidt da 1,22 m dell'osservatorio di monte Palomar. Ogni lastra copre una regione di cielo ampia 6° per 6°, cosicché 1035 carte sono sufficienti a ricoprire tutto il cielo visibile da monte Palomar. Una analoga raccolta di carte celesti per il cielo meridionale venne realizzata utilizzando i telescopi Schmidt situati in Australia e in Cile.

Stelle doppie

Più della metà delle stelle del cielo sono membri di sistemi binari o multipli, composti da due o più corpi orbitanti intorno a un centro di massa comune. In alcuni casi le singole componenti di un sistema binario appaiono separate se osservate attraverso un telescopio, ma molte doppie sono identificabili come tali solo per mezzo della spettroscopia. Le stelle doppie vennero riconosciute per la prima volta nel 1803 dall'astronomo britannico William Herschel.

Le binarie spettroscopiche, identificate nel 1889, non sono 'separabili' con un telescopio ma possono essere riconosciute a causa dello sdoppiamento o dell'allargamento delle linee spettrali causato dal moto delle due stelle. Quando una componente, muovendosi, si allontana dalla Terra, l'altra si avvicina e le righe spettrali risultano rispettivamente spostate verso il rosso e verso il violetto.

Le cosiddette variabili a eclisse sono sistemi composti da una stella più brillante e da una più debole. Osservate da Terra, esse mostrano una luminosità regolarmente variabile: quando la stella più debole eclissa quella più brillante, l'intensità totale della luce emessa dalla coppia si riduce moltissimo.

Stelle variabili

Tutte le stelle, incluso il Sole, presentano probabilmente leggere variazioni periodiche della luminosità. Questo fenomeno è praticamente inosservabile nella maggior parte dei casi, ma risulta molto accentuato nelle cosiddette stelle variabili. Alcune di esse variano in maniera ciclica e con precisione cronometrica, altre sono altamente irregolari.

Le variabili più spettacolari sono le novae e le supernovae. Le prime possono essere 200.000 volte più luminose del Sole e possono emettere una piccola parte della loro massa a velocità dell'ordine dei 950 km/s. In alcuni casi questa emissione è periodica, finché la perdita eccessiva di massa arresta il processo.

Le supernovae sono invece fenomeni catastrofici e assolutamente non periodici. Rappresentano infatti l'esplosione di una stella, e per alcuni giorni possono raggiungere una luminosità elevatissima, circa 10 miliardi maggiore di quella solare, prima di spegnersi definitivamente, lasciando un inviluppo in espansione, visibile come una nebulosa gassosa, detta resto di supernova; ne è un esempio la Crab Nebula (Nebulosa Granchio), osservata come supernova dalla Terra nel 1054. In alcuni casi al centro della supernova si forma una pulsar. Le novae sono abbastanza frequenti nella Via Lattea (una o due vengono osservate ogni anno), mentre l'esplosione di una supernova è un fenomeno estremamente raro. Nel 1987 esplose una supernova nella vicina galassia della Grande Nube di Magellano.

Molte stelle variabili presentano regolari variazioni di luminosità perché pulsano, cioè si espandono e si contraggono. Un esempio importante è costituito dalle variabili Cefeidi, che ripetono il proprio ciclo di variabilità in modo piuttosto preciso, con periodi compresi tra un giorno e qualche centinaio di giorni. Sono tutte molto più luminose del Sole, inoltre più lungo è il periodo maggiore è la luminosità media della Cefeide. Questa relazione periodo-luminosità, scoperta dall'astronoma Henrietta Leavitt presso l'osservatorio di Harvard, è importantissima per la misura delle distanze stellari. Per calcolare la distanza della stella è infatti sufficiente misurarne il periodo di variazione e la luminosità apparente.

Le stelle variabili sono di grande interesse perché le loro variazioni sono causate di solito da peculiarità della struttura interna che si modifica con l'età. Esse possono quindi fornire informazioni circa l'evoluzione delle stelle.

Le variabili a eclisse variano per cause esterne piuttosto che interne. Un tipico esempio è Algol nella costellazione di Perseo; si tratta di una stella doppia composta da una componente luminosa e da una debole, in orbita l'una attorno all'altra in un piano situato quasi esattamente lungo la linea di vista dal nostro pianeta. Quando la componente meno luminosa eclissa l'altra, la brillantezza apparente della coppia diminuisce sensibilmente. Gli astronomi hanno osservato migliaia di variabili a eclisse, raccogliendo dati che si sono rivelati di grande utilità per la determinazione delle masse stellari.

Pulsar e stelle di neutroni

Le pulsar sono intense sorgenti di impulsi radio. L'energia che esse irradiano nello spazio appare in rapida pulsazione con periodi estremamente regolari, che variano da alcuni secondi a piccolissime frazioni di secondo. Solo con i più precisi orologi è possibile rivelare le variazioni del periodo di pulsazione e i dati raccolti indicano che è necessario circa un milione di anni perché esso raddoppi.

I risultati delle analisi degli spettri di emissione suggeriscono che le pulsar siano stelle di neutroni in rapida rotazione, del diametro di una quindicina di km e con densità elevatissima.

Evoluzione delle stelle



Le teorie sull'evoluzione stellare descrivono i diversi stadi dell'esistenza di una stella e i parametri che determinano le sue modalità di sviluppo. Le osservazioni hanno mostrato che le stelle possono essere collocate in un grafico teorico, sviluppato dagli astronomi Ejnar Hertzsprung e Henry Norris Russell, che pone a confronto la luminosità e la temperatura. La maggior parte delle stelle si dispone in una banda obliqua nota come sequenza principale, al di fuori della quale si trovano i gruppi delle giganti rosse e delle nane bianche.

Una stella nasce da una nube di gas e polveri relativamente fredda, con densità migliaia di volte maggiore di quella della circostante materia interstellare. La contrazione di questo gas, e il suo conseguente riscaldamento, continua finché la stella si trasforma in una protostella che emette radiazioni elettromagnetiche nella banda dell'infrarosso. La temperatura interna cresce ulteriormente fino a raggiungere un valore di circa 1.000.000 °C, sufficiente perché si inneschino le reazioni nucleari che trasformano l'idrogeno e il deuterio (il cosiddetto idrogeno pesante) in elio, con conseguente emissione di una grande quantità di energia nucleare. In questo stadio la contrazione si arresta e la stella vive una fase di stabilità.

Quando l'idrogeno comincia a esaurirsi, il rilascio di energia nucleare cessa, la contrazione riprende e la temperatura aumenta fino a innescare nuove reazioni nucleari, che coinvolgono idrogeno, litio e altri elementi leggeri presenti nella stella. Si ha quindi una seconda fase di relativa stabilità che si interrompe quando il litio e gli altri elementi leggeri sono perlopiù esauriti e riprende la contrazione. La stella entra così nella fase finale della propria evoluzione, durante la quale l'idrogeno viene trasformato in elio attraverso l'azione catalizzante del carbonio e dell'azoto. Questa reazione nucleare è caratteristica delle stelle di sequenza principale citate sopra e continua fino a quando viene consumato tutto l'idrogeno disponibile. La stella si gonfia gradualmente, diventa una gigante rossa, e raggiunge la dimensione massima quando tutto l'idrogeno del nucleo è stato trasformato in elio. Per continuare a brillare, la temperatura al centro deve aumentare abbastanza da innescare la fusione dei nuclei di elio. Quando tutte le possibili fonti di energia nucleare sono esaurite, la stella si contrae e diventa una nana bianca. Questo stadio finale può essere caratterizzato dall'esplosione come nova, accompagnata dall'emissione nel mezzo interstellare di elementi più pesanti dell'idrogeno. Da questo materiale si formeranno le successive generazioni di stelle. Quando la fase finale dell'evoluzione di una stella non è esplosiva, si formano nebulose planetarie, cioè nubi sferiche di gas che emettono radiazione elettromagnetica.

Le stelle con massa migliaia di volte superiore a quella solare evolvono rapidamente, giungendo allo stadio di supernova in pochi milioni di anni e lasciando come resto una stella di neutroni. Esiste un limite per la massa di questi oggetti, oltre il quale essi continuano a contrarsi fino a diventare un buco nero. Stelle medie come il Sole hanno vite di molti miliardi di anni. L'evoluzione finale di una stella di piccola massa non è nota, a parte il fatto che essa smette di emettere luce in maniera apprezzabile. Probabilmente esse diventano nane brune, cioè stelle molto fredde che si estinguono lentamente.

La nascita delle stelle è stata osservata nelle foto scattate con i grandi telescopi. Le moderne tecniche di osservazione dello spazio in ultravioletto e in infrarosso, e la radioastronomia hanno permesso di individuare i luoghi di formazione stellare

 Galassie

Sono degli enormi agglomerati di centinaia di miliardi di stelle, gas e polveri, legati tra loro da forze di natura gravitazionale e orbitanti intorno a un centro comune. Tutti gli astri visibili a occhio nudo dalla superficie terrestre, come il Sole, appartengono alla nostra galassia: la Via Lattea.

- Primi studi -

Si ritiene che sia stato l'astronomo persiano Al-Sufi a descrivere per la prima volta la debole macchia di luce nella costellazione di Andromeda, che oggi è identificata come una galassia compagna della nostra. Nel 1780 l'astronomo francese Charles Messier pubblicò una lista di oggetti non stellari che comprendeva anche 32 galassie. Esse sono tuttora individuate dall'iniziale dell'astronomo (M) seguita da un numero di identificazione; la galassia di Andromeda, ad esempio, è indicata dagli astronomi con il simbolo M31.

Migliaia di galassie furono poi identificate e catalogate da Wilhelm e Caroline Herschel e da John Herschel, all'inizio del XIX secolo. A partire dal 1900 inoltre, lo sviluppo di metodi fotografici sempre più sofisticati ha permesso di scoprire moltissime galassie a enormi distanze dalla Terra; esse appaiono così deboli sulle fotografie che possono essere distinte a fatica dalle stelle.

Nel 1912 l'astronomo statunitense Vesto M. Slipher, analizzando i dati raccolti presso l'osservatorio Lowell in Arizona, mise in evidenza lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali di tutte le galassie. Questo fenomeno, tanto più intenso quanto maggiore è la distanza della galassia, venne interpretato da Edwin Hubble come la prova di un moto di allontanamento relativo di tutte le galassie e quindi come una conferma dell'ipotesi secondo cui l'universo è in espansione. Ancora non è chiaro se tale espansione sia destinata a proseguire per sempre; un'ipotesi è che la forza di interazione gravitazionale tra le galassie sia sufficiente ad arrestare il processo ed eventualmente a determinare un progressivo avvicinamento di questi enormi agglomerati stellari. Vedi Cosmologia.

- Classificazione delle galassie -

La maggior parte delle galassie appare, a causa della distanza dalla Terra, come una nube debolmente luminosa e solo nelle fotografie degli ammassi più vicini è possibile distinguere le singole stelle. Le osservazioni al telescopio permettono di determinare, seppure in modo approssimativo, la forma delle galassie e quindi di organizzare su questa base una prima classificazione.

Le galassie ellittiche hanno una generica forma globulare, con un nucleo brillante; esse contengono una popolazione di stelle vecchie, hanno un piccolo quantitativo di gas e polveri visibili e un numero relativamente basso di stelle giovani.

Le galassie a spirale invece sono formate da un disco appiattito che contiene poche stelle vecchie, una vasta popolazione di stelle giovani, abbondanti quantità di gas e polveri e grandi nubi molecolari che sono luogo di formazione stellare. Solitamente le regioni che contengono le stelle giovani si avvolgono attorno alla galassia, mentre un alone di stelle vecchie e deboli circonda il disco e spesso esiste anche un nucleo più piccolo, che emette due getti di materia ad alta energia in direzioni opposte.

Alcune galassie a disco, che non mostrano una forma a spirale, sono classificate come irregolari; anch'esse contengono una grande quantità di gas, polveri e stelle giovani. Sono spesso localizzate vicino a galassie più grandi e il loro aspetto è probabilmente il risultato dell'interazione gravitazionale con galassie di grosse dimensioni. Alcune galassie peculiari si trovano in gruppi ravvicinati di due o tre agglomerati e le loro reciproche interazioni mareali hanno provocato la deformazione dei bracci a spirale, producendo dischi distorti e lunghi getti di materia.

I quasar sono oggetti di aspetto stellare o quasi stellare, caratterizzati da notevoli spostamenti verso il rosso e pertanto a grandissima distanza dalla Terra. Oggi la maggior parte degli astronomi ritiene che questi corpi celesti siano galassie attive i cui nuclei contengono enormi buchi neri. Essi sono probabilmente in stretta relazione con le radiogalassie e con gli oggetti BL Lacertae.


- Determinazione delle distanze extragalattiche -

La semplice osservazione telescopica non permette di distinguere una galassia gigante lontana da una di dimensioni minori e vicina alla Terra. Di conseguenza, per stimare la distanza di una galassia gli astronomi confrontano la luminosità o le dimensioni degli oggetti che essa contiene con quelle di analoghi oggetti appartenenti alla Via Lattea. A questo scopo fanno riferimento alle osservazioni di supernovae, che sono stelle estremamente brillanti, di ammassi stellari e di nubi di gas. Le variabili Cefeidi, la cui luminosità muta periodicamente, sono particolarmente preziose da questo punto di vista, poiché il loro periodo di pulsazione è correlato con la luminosità intrinseca. Misurando il periodo è possibile quindi risalire alla luminosità intrinseca e dal confronto di questa con quella apparente è possibile determinare la distanza. Recentemente, inoltre, gli astronomi hanno messo in evidenza che la velocità di rivoluzione delle stelle attorno al centro delle galassie dipende dalla luminosità intrinseca e dalla massa di queste ultime; in particolare le galassie che ruotano rapidamente sono estremamente luminose; al contrario quelle che ruotano lentamente sono intrinsecamente deboli. Le velocità orbitali delle stelle in una galassia sono relativamente facili da misurare e così è possibile ricavare la luminosità intrinseca della galassia e quindi la corrispondente distanza.



- Distribuzione delle galassie -

Le galassie in genere non sono isolate nello spazio ma formano gruppi più o meno numerosi che a loro volta formano grandi ammassi. La nostra galassia fa parte di un gruppo di circa trenta galassie che gli astronomi chiamano Gruppo Locale. La Via Lattea e la galassia di Andromeda sono le due più grandi del Gruppo, ciascuna con cento o duecento miliardi di stelle. La Piccola e la Grande Nube di Magellano, galassie satelliti della Via Lattea, sono piccole e deboli, e contengono ciascuna solo circa cento milioni di stelle.

Il Gruppo Locale è un membro periferico dell'ammasso più vicino, quello della Vergine, che contiene migliaia di galassie di vari tipi, tutte caratterizzate da un moto nella stessa direzione. Tale moto potrebbe essere determinato forse da un superammasso invisibile dalla nostra posizione, anche se gli studi teorici suggeriscono che la causa sia una stringa cosmica, cioè uno strappo monodimensionale nel tessuto dello spazio-tempo.

Nel complesso la distribuzione degli ammassi e dei superammassi nell'universo non è uniforme. Superammassi di decine di migliaia di galassie si allungano in sottili strisce che si avvolgono su grandi spazi vuoti. La Grande Muraglia, una striscia di galassie scoperta nel 1989, si estende per oltre un miliardo di anni luce nello spazio. I cosmologi ritengono che la materia oscura, un ipotetico materiale che non irraggia né riflette la radiazione elettromagnetica, possa esistere in quantità sufficiente da produrre i campi gravitazionali responsabili della struttura non omogenea dell'universo.

Le galassie più distanti, ai limiti dell'universo osservabile, sono deboli oggetti blu. Immagini di tali oggetti si ottengono puntando un telescopio in regioni apparentemente vuote del cielo e usando opportuni rivelatori a stato solido detti CCD (Charge Coupled Device, cioè dispositivi ad accoppiamento di carica) per raccogliere la debole luce che essi emettono, e poi elaborando le immagini con metodi numerici. Si riescono a osservare galassie che si allontanano dalla Terra a circa l'88% della velocità della luce, e che si sono formate circa due miliardi di anni dopo l'origine dell'universo.

- Rotazione delle galassie a spirale -

Le stelle e le nubi di gas orbitano intorno al centro delle galassie a cui appartengono, con periodi di rivoluzione dell'ordine delle centinaia di milioni di anni. Dallo studio della posizione delle linee spettrali delle galassie, è stato possibile dedurre che nelle galassie a spirale le stelle si muovono su orbite circolari, con velocità tanto più grandi quanto maggiore è la distanza dal centro della galassia. Sul bordo dei dischi galattici, a distanza di 150.000 anni luce dal centro, sono state misurate velocità di 300 km/s.

Un simile comportamento è quindi totalmente diverso da quello dei pianeti del sistema solare, la cui velocità orbitale diminuisce all'aumentare della distanza dal Sole. Ciò suggerisce che la massa di una galassia non sia concentrata nel punto centrale come nel caso del sistema solare, ma al contrario che una percentuale significativa di essa, caratterizzata da luminosità estremamente bassa e quindi rilevabile solo in relazione agli effetti gravitazionali, sia localizzata a grande distanza dal centro. Studi sulla velocità delle stelle situate nella periferia delle galassie hanno rafforzato l'ipotesi che la maggior parte della massa presente nell'universo esista sotto forma di materia oscura.

- Radiazione emessa da una galassia -

La forma delle galassie può essere determinata sulla base di osservazioni ottiche, mentre per lo studio della composizione e del moto delle singole stelle si ricorre generalmente ad analisi spettroscopiche nella regione del visibile. Inoltre, poiché l'idrogeno gassoso presente nei bracci a spirale emette radiazioni elettromagnetiche nella banda delle onde radio dello spettro, molti dettagli sulla struttura galattica possono essere dedotti da ricerche di radioastronomia. Invece, la polvere fredda nel nucleo delle galassie a spirale emette nel range di frequenze caratteristico dell'infrarosso.

Recenti osservazioni sulle lunghezze d'onda dei raggi X, hanno confermato che gli aloni galattici contengono gas a temperature di milioni di gradi. Emissioni X si osservano anche in oggetti come gli ammassi globulari, i resti di supernovae, e nei gas caldi presenti negli ammassi di galassie. Osservazioni nella regione dell'ultravioletto rivelano inoltre le proprietà dei gas negli aloni, e forniscono preziose informazioni sull'evoluzione delle stelle giovani delle galassie.

 - Ammassi stellari -

Sono dei raggruppamenti di stelle distribuite entro una regione limitata dello spazio, originatesi a partire da un'unica nebulosa. Gli addensamenti di gas e polveri di una nebulosa si contraggono per effetto della forza di gravitazione, sviluppando calore e creando in tal modo le condizioni necessarie per l'innesco delle reazioni di fusione delle stelle. La nebulosa di Orione, nell'omonima costellazione, è una di queste regioni attive del cosmo in cui è in corso la formazione di stelle; al suo interno, nella zona centrale, è concentrato un gruppo di stelle giovani denominato Trapezio. Nel complesso la nebulosa contiene gas in quantità sufficiente a formare ancora centinaia di stelle come quelle del Trapezio.

A seconda del loro aspetto e della loro natura fisica, gli ammassi vengono distinti in ammassi aperti, che non hanno una forma definita, e ammassi globulari, che presentano una forma pressoché sferica. I primi contengono tutt'al più qualche centinaio di stelle relativamente giovani, i secondi ne contengono fino a un milione, spesso molto vecchie.

- Ammassi aperti -

Si conoscono circa 2000 ammassi aperti nella Via Lattea, tutti distribuiti sul suo piano galattico. Contengono stelle relativamente giovani, reciprocamente attratte da una debole forza gravitazionale. I più noti sono le Pleiadi (M45) e le Iadi, entrambi visibili a occhio nudo, nella costellazione del Toro. L'ammasso delle Iadi si trova a una distanza di 150 anni luce dal sistema solare e ha un diametro apparente di 5 gradi, vale a dire 10 volte le dimensioni apparenti della Luna; il suo diametro reale è pari a circa 15 anni luce. L'ammasso delle Pleiadi (chiamate popolarmente le Sette Sorelle) ha un diametro reale dello stesso ordine di grandezza di quello delle Iadi, ma, dal momento che si trova a oltre 400 anni luce di distanza dal sistema solare, appare più piccolo a un osservatore terrestre, e cioè di un diametro apparente inferiore ai 2 gradi. Si stima che le Iadi abbiano un'età di circa 660 milioni di anni. L'ammasso delle Pleiadi è invece molto più giovane, essendosi formato negli ultimi 80 milioni di anni; le stelle più calde e luminose delle Pleiadi non hanno più di qualche milione di anni.

- Ammassi globulari -

Gli ammassi globulari, distribuiti in modo uniforme su un'ideale superficie sferica intorno alla Via Lattea, contengono un numero di stelle molto superiore rispetto agli ammassi aperti: ad esempio, il più luminoso dell'emisfero boreale, denominato M13, visibile nella costellazione di Ercole, ne comprende circa mezzo milione. Rispetto alle stelle che costituiscono gli ammassi aperti, quelle che costituiscono gli ammassi globulari sono attratte da una forza gravitazionale più intensa, e dunque assumono configurazioni più regolari e compatte, pressoché sferiche; sono inoltre più antiche, e quindi più ricche di elementi metallici.

- Associazioni -

Concentrazioni meno dense degli ammassi aperti vengono definite associazioni stellari. Queste contengono un numero di stelle paragonabile a quello degli ammassi, ma distribuite entro uno spazio molto più ampio. Spesso gli ammassi aperti si trovano all'interno di associazioni, in corrispondenza dei punti in cui era massima la densità della nebulosa originaria. Esistono tre tipi di associazioni: le associazioni OB, che contengono stelle molto calde e massive, dei tipi stellari O e B (tale definizione discende dalla classificazione degli spettri stellari); le associazioni R, che contengono stelle di massa intermedia, la cui luce viene riflessa dalla polvere cosmica circostante; e le associazioni T, che contengono giovani stelle di piccola massa, simili al Sole, il cui 'prototipo' è T Tauri. È probabile che tutte le stelle inizino il proprio ciclo vitale in associazioni o in ammassi, per poi sfuggirne successivamente.

- Ammassi in movimento -

Le stelle appartenenti a un ammasso si muovono nel cosmo in modo coerente. Questo giustifica un metodo molto efficiente per la determinazione delle loro distanze dalla Terra. Se un ammasso si allontana dal punto di vista di un osservatore terrestre sembra convergere, per effetto della prospettiva, verso un punto distante, detto punto di convergenza. Misurando la velocità delle stelle lungo la linea di osservazione (velocità radiale) attraverso la valutazione dell'effetto Doppler, gli astronomi sono in grado di calcolare la distanza degli ammassi attraverso l'applicazione di metodi geometrici.

 Nebulose -

Sono masse di gas e di particelle di polvere situate nello spazio interstellare. Prima dell'invenzione del telescopio, il termine nebula (in latino 'nube') era utilizzato per tutti gli oggetti celesti di aspetto diffuso e includeva quindi ammassi stellari e galassie.

Esistono nebulose sia nella Via Lattea sia nelle altre galassie. Sono divise in nebulose planetarie, resti di supernova e nebulose diffuse e ciascuna di queste classi comprende nebulose a riflessione, a emissione e oscure. All'interno di alcune dense nubi interstellari si trovano inoltre nebulose molto brillanti, note come oggetti di Herbig-Haro, che sono probabilmente il prodotto di getti di gas emessi da stelle giovani durante il processo di formazione.

Le nebulose planetarie, cosiddette perché osservate al telescopio ricordano vagamente la forma dei pianeti, sono in realtà i 'gusci' di materia che una stella vecchia di media massa rilascia durante la fase evolutiva di gigante rossa, prima di trasformarsi in nana bianca. L'oggetto ad anello nella costellazione della Lira è un tipico esempio di nebulosa planetaria; ha periodo di rotazione di 132.900 anni e massa pari a circa 14 volte quella della Terra. Nella Via Lattea sono state scoperte alcune migliaia di nebulose planetarie. Ancora più spettacolari, ma meno frequenti, sono le nebulose che si producono dopo un'esplosione di supernova; la più famosa di queste è forse quella del Granchio nella costellazione del Toro, che si sta indebolendo con un tasso annuale dello 0,4% circa. Le nebulose di questo tipo sono intense sorgenti di onde radio, come residuo dell'esplosione che le ha generate.

Le nebulose diffuse sono molto grandi, con dimensioni di vari anni luce, senza confini definiti e con una forma che ricorda quella di una nuvola. Possono essere luminose o oscure; tra le prime vi è uno degli oggetti più famosi del cielo, la grande nebulosa di Orione. Sono note migliaia di nebulose brillanti, attentamente studiate per mezzo di tecniche di analisi spettrale. Le ricerche mostrano che esse possono brillare secondo due meccanismi: o perché riflettono la luce delle stelle in esse contenute (nelle nebulose cosiddette a riflessione), oppure, nelle nebulose a emissione, perché emettono radiazione proveniente dal gas e dalle polveri ionizzati presenti all'interno della nebulosa stessa.

Le nebulose oscure sono completamente nere o poco luminose e nascondono del tutto le regioni di cielo retrostanti; sono troppo distanti da qualunque stella per riflettere o emettere luce in grande quantità. Una delle più famose nebulose oscure è la Testa di Cavallo nella costellazione di Orione, così chiamata perché la materia oscura sembra rappresentare il capo di un cavallo, che si staglia davanti a una nube luminosa. La lunga striscia scura che si osserva sulle lastre fotografiche della Via Lattea è una successione di nebulose oscure. Si pensa che sia le nebulose brillanti sia quelle oscure siano luoghi in cui, per condensazone del gas, si formano nuove stelle.

 - Gli asteroidi -

Gli asteroidi sono piccoli corpi rocciosi (detti anche pianetini) che si muovono su percorsi ellittici perlopiù tra le orbite di Marte e Giove, nella cosiddetta 'fascia degli asteroidi'.

Dimensioni e orbite

Gli asteroidi più grossi sono Cerere, con un diametro di circa 950 km, Pallade e Vesta, di circa 550 km di diametro, ma ne esistono migliaia più piccoli. I pianetini più grandi sono quasi sferici, però forme allungate e irregolari sono comuni tra quelli di diametro inferiore a 150 km. La maggior parte degli asteroidi, indipendentemente dalle dimensioni, ruota attorno ad assi, con periodi compresi tra le 5 e le 20 ore; vi sono anche pianetini doppi, cioè dotati di compagni.

Alcuni scienziati ritengono che gli asteroidi siano i resti di un pianeta esploso, ma è più probabile che essi si siano formati singolarmente giacché la distruttiva influenza gravitazionale di Giove dovrebbe aver impedito l'aggregazione di un pianeta in quella regione celeste; forse i primi pianetini, dapprima di dimensioni maggiori, si frammentarono a causa delle mutue collisioni, fino a produrre la popolazione attuale.

Un interessante sistema di asteroidi è rappresentato dai pianetini troiani che giacciono in due gruppi sull'orbita di Giove; uno precede il pianeta di 60° e l'altro lo segue, con la stessa angolazione. Nel 1977, in un'orbita compresa tra quelle di Saturno e Urano, venne scoperto Chirone; le ricerche proseguirono e, all'inizio degli anni Novanta, erano noti circa 75 asteroidi, che costituiscono la famiglia Amor, intersecanti l'orbita di Marte; circa 50, gli Apollo, che intersecano l'orbita della Terra; e meno di 10, gli Atene, con orbite più piccole di quella terrestre. Uno dei più grandi pianetini interni è Eros, con una lunghezza di circa 37 km. Fetonte, un asteroide caratteristico della famiglia Apollo, associato con l'annuale sciame di meteore delle Geminidi, si avvicina al Sole più di qualunque altro asteroide conosciuto, fino a raggiungere una distanza di soli 20,9 milioni di km.

Gli asteroidi che si avvicinano alla Terra sono obiettivi relativamente facili per le missioni spaziali; nel 1991, la sonda spaziale Galileo, in viaggio verso Giove, riprese le prime immagini ravvicinate dell'asteroide 951 Gaspra: esso apparve piccolo, irregolare e costellato di crateri, con la superficie ricoperta di un manto di materiale smosso e frammentato, noto come regolite.

Composizione superficiale

Nella maggior parte dei casi, si ritiene che le meteoriti scoperte sulla Terra siano frammenti di asteroidi; questa ipotesi, avvalorata da osservazioni spettroscopiche e radar, effettuate con telescopi a terra, rende possibile una loro classificazione in categorie distinte.

Tre quarti degli asteroidi visibili da terra, incluso Cerere, appartengono al tipo C, che sembra essere in relazione con una classe di meteoriti rocciose conosciuta come condriti carbonacee; queste sono considerate i corpi più vecchi del sistema solare e hanno una composizione che rispecchia quella della nebulosa solare primordiale: estremamente scure, probabilmente a causa del loro contenuto di idrocarburi, esse mostrano di aver assorbito acqua di idratazione.

Gli asteroidi di tipo S, correlati con le meteoriti rocciose ricche di ferro, rappresentano circa il 15% del totale.

Molto più rari sono invece gli oggetti di tipo M, la cui composizione corrisponde a quella delle meteoriti conosciute come 'ferrose'; esse consistono di una lega di ferro-nichel e potrebbero essere i nuclei di corpi planetari fusi e differenziati, i cui strati esterni furono rimossi dai frequenti impatti.

Pochissimi asteroidi, tra cui Vesta, sono probabilmente correlati con le meteoriti della classe più rara: le acondriti. Essi sembrano avere una composizione superficiale ignea come quella di molti flussi lavici lunari e terrestri, e sono probabilmente il risultato di un parziale processo di fusione. Una possibile spiegazione è che il sistema solare primordiale contenesse una notevole concentrazione di alcuni isotopi altamente radioattivi, che potrebbero aver sviluppato una quantità di calore sufficiente a fondere gli asteroidi.


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